“Uno scrittore e il suo diario…l’inchiostro nero e il foglio bianco…e la vita in un quando…”.
Così si presenta “QUANDO”.
Proprio il “quando” diviene il titolo, nonché il leit motiv, della prosa poetica.
Un susseguirsi di istanti (che riportano alla quotidianità, al vissuto) in un incedere di emozioni, sentimenti. È la metafora della vita che – nella sequenza dell’esistenza – diviene bianco e nero.
La narrazione accompagna verso un senso di responsabilità profondo: Vivere.
“Il senso della vita… – affermò Nichi – la vita è un vissuto, è un fatto, è un compiuto, è un detto; spesso, pensiamo di fare, di compiere, di dire e, invece, non facciamo nulla, non compiamo nulla, non diciamo nulla, forse, non viviamo.
Ma come si fa a non vivere se si esiste? – domandò Clara.
Non basta esistere per vivere se non si ruota su se stessi e intorno agli altri – rispose Nichi.”
Si ripercorre ciò che è stato e ciò che è (attraverso un intreccio di storie e di personaggi che rendono la tensione della quotidianità rinvenibile in quella “frazione di tempo lunga quanto un cuore”).
È nei battiti del cuore che si ritrova il senso di un abbraccio, di uno sguardo, di una parola.
Si va dall’ingenuità del fanciullo sino alle difficoltà di ritrovarsi adulto: il fanciullo si meraviglia sentendo il battito della vita, mentre l’adulto rischia di perdersi in quel semplice battito.
L’adulto non deve perdere gli occhi del fanciullino: quando li perde, rischia di farsi male e di fare male.
In un crescendo di prosa e poesia, si attraversano gli agi e i disagi di un’esistenza che (forse) dovrebbe divenire (nonostante tutto) il nostro sogno.
“Lo so…crescendo il mondo ci confonde e, purtroppo, spesso perdiamo il coraggio di credere nel nostro sogno.
Ma è proprio in quel momento che bisogna cogliere l’attimo.
Quel sogno siamo noi.”
E proprio il sogno dell’esistenza rinviene nel prologo: “Quando le parole sembrano finire, quando gli abbracci sembrano mancare, quando uno sguardo sembra intimorire, quando la morte sembra arrivare e la vita sembra mancare, bisogna chiudere gli occhi, inspirare lentamente ed espirare con impeto. Ci si acquieta. Si può ricominciare.”.
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ESTRATTI DEL LIBRO:
“Mi piace ascoltare il vento, le sue trame, le sue parole.
Adoro essere accarezzato dal riflesso della luna e seguirne la scia.
Amo le tenere coccole, vere e sincere, del sole.
Ringrazio la terra per il confortevole sostegno: la terra che si calpesta, la terra che si pigia, la terra che si strapazza con i piedi.
Adoro ritrovarmi negli occhi del prossimo come fossero cielo, accogliere gli sguardi come fossero carezze, vivere le parole come fossero abbracci.
Se siamo su questa terra è perché ci appartiene e ci apparteniamo.
Si, su questa terra – almeno credo – ci ritroviamo.”
* * *
“Ognuno di noi è un cuore che pulsa.
Ognuno di noi – almeno una volta – avrà provato a sentire i palpiti (premendo, col pollice, il polso o indossando uno stetoscopio) perché curioso.
Ognuno di noi, sentendo il suono della vita che culliamo dentro, credo abbia trovato un sorriso. Ognuno di noi avrà pensato a questa “magia” che diventa vista, tatto, udito, gusto, olfatto.
La sola percezione del battito cardiaco diventa il desiderio dell’istante perché ogni singolo battito è un momento differente dell’esistenza, è una frazione di un tempo lungo quanto il cuore.
Ogni battito è un istante di vita che “va” e un’emozione che “viene”.
Il battito unisce tutti noi, tutto il mondo, forse, anche l’universo.
È come se ogni battito fosse un fotogramma, l’istante immortalato, e noi vi siamo dentro come protagonisti o comparse o figuranti. È in quel battito che ritroviamo le nostre paure e il nostro coraggio, la nostra forza e le nostre debolezze, i nostri dubbi e le nostre certezze, la nostra coscienza e la nostra incoscienza, i nostri fatti e i nostri misfatti, la nostra faccia e le altre facce: il battito diviene un fotogramma del film della nostra vita, piccolo ma unico…uno ma essenziale.”
* * *
“Che belle le frecce!
Scoccate dall’arco della vita, sembra poterne orientare la direzione come meglio si desidera; le frecce sono le emozioni che, puntualmente, scocchiamo perché sentiamo il profumo della vita…perché desideriamo quella vita.
Però, non sempre le frecce scoccate puntellano la vita – o meglio – puntellano proprio come il mare quando giunge sulla sabbia e ne inverte i granelli.
La freccia di Gianni avrebbe voluto “fermare” sulla terra il papà, eppure il mare aveva invertito l’emozione della vita. Comunque, una vita solo perché non compare non significa che scompare.”
* * *
“Ho, sin da piccolo, percepito la parola come suono melodioso che penetra il cuore perché è attraverso la parola che si scopre un mondo.
Tutto è parola e senza la parola le meraviglie del mondo non sarebbero state come sono perché è la parola a rendere l’anima di ogni cosa.
Negli anni, ho scoperto che la parola, adagiata su un foglio bianco, diventa una foto; sì, proprio così, rende un’immagine, sprigionando forza/luce evocativa/emotiva. Accarezzando il foglio con l’inchiostro, ritrovo me stesso – anzi – l’altro me stesso: mi scopro passo dopo passo e, scoprendo me stesso, scopro anche gli altri.”
* * *
“Non potevo tacere.
- Scusa Nichi, ti ho osservato per qualche minuto… ora che hai concluso, posso intervenire? Non posso non sapere…
Nichi alzò lo sguardo orgoglioso della rappresentazione e, con fare gioioso, mi disse:
- non devi scusarti…sono io che devo scusarmi per il disegno non proprio perfetto ma non conta la perfezione quanto il significato. Vedi, la terra gira su se stessa e intorno al sole, determinandosi notte, giorno e stagioni; anche noi dovremmo girare su noi stessi e intorno al prossimo perché girando su noi stessi ci conosceremmo meglio, esplorandoci, guardandoci e così indirizzando la nostra esistenza, mentre girando intorno agli altri ci scopriremmo meglio, confrontandoci, rapportandoci, relazionandoci. Se si girasse solo intorno a se stessi si perderebbe il senso degli altri e se si girasse solo intorno agli altri si perderebbe il senso di se stessi; la vita ha un senso che è la direzione nostra e degli altri.
- Parli di anime? – soggiunse Clara.
- Parlo di anime – ribadì Nichi – come parlo di fiori, come parlo del vento, come parlo del sole e della luna, come parlo del giorno e della notte, come parlo della vita e della morte; parlo di anime, anime sante o anime dannate, anime felici o anime tristi…parlo di anime.
- Che senso ha? – replicò Clara.
- Il senso della vita… – affermò Nichi – la vita è un vissuto, è un fatto, è un compiuto, è un detto; spesso, pensiamo di fare, di compiere, di dire e, invece, non facciamo nulla, non compiamo nulla, non diciamo nulla, forse, non viviamo.
- Ma come si fa a non vivere se si esiste? – domandò Clara.
- Non basta esistere per vivere se non si ruota su se stessi e intorno agli altri – rispose Nichi.
“Non basta esistere per vivere se non si ruota su se stessi e intorno agli altri” – ribadii dentro di me: Nichi aveva “afferrato” la vita.
Ma come si può vivere senza cadere e senza rialzarsi, senza allontanarsi e senza abbracciarsi, senza dire e senza ascoltare, senza amarsi?
Non basta esistere per vivere se non si ruota su se stessi e intorno agli altri.”
* * *
“Il ritmo incessante delle sue parole rendeva l’affanno della sua sincera emotività che esortava la mia sensibilità.
Sentivo la necessità di scrivere per rendere l’eternità del momento.
Volevo fermare il tempo.
Poche volte ho scritto “ti voglio bene” perché è in quelle poche volte che ho colto i palpiti autentici.
Sentivo il bene di Clara.
Era l’abbraccio stringente, caldo, accorato, sentito, voluto, cercato…era la complicità intellettuale e la voglia di raccontarsi…era la voglia di ritrovarsi nelle reciproche parole per sentirsi…erano i petali bianchi di una rosa…proprio come il nostro desiderio genuino di ritrovarci – senza conoscerci ma per scoprirci – perché avevamo visto uno spiraglio di luce in un mondo, forse, buio e quella luce (intensa) accecava gli occhi perché meravigliosa…e ancor più meraviglioso era lasciarsi illuminare, mentre gli occhi chiusi ci permettevano di sognare.
Io non abbraccio stringendo se nessuno mi stringe abbracciandomi; è proprio nella reciprocità che si vive l’abbraccio sincero.
I nostri mondi si sovrapponevano, si toccavano, forse, combaciavano: ecco perché ci siamo ritrovati con la volontà di aprire una finestra e guardare senza pregiudizi o tabù, senza pensieri precostituiti o fini programmati, senza la pretesa di “possederci”.
Io scrivo “ti voglio bene” poche volte perché è in quelle poche volte che ritrovo il senso dell’abbraccio, della vita.
La verità è in ciò che facciamo non in ciò che diciamo.”
* * *
“Guardo fuori dalla finestra.
Vedo una vecchietta, lungo la strada, che si trascina a fatica; eppure, non si ferma.
Resiste, sì.
Mi ricorda mia nonna.
“Forse, non saremo mai capiti ma quantomeno abbiamo seminato!!” – diceva.
Il suo ricordo è nitido nel mio cuore, anzi, è meglio dire che mia nonna era tutto un cuore; era proprio una “nonnina”, di statura bassa, ripiegata su stessa come volesse proteggere lo spiraglio di vita che residuava.
Le rughe ne raccontavano l’esistenza come fossero percorsi impervi, scavati, vissuti; sì, ogni ruga ne segnava la tempra e ne custodiva l’anima come fosse la corteccia di un albero. I suoi occhi piccoli lasciavano trasparire la lucentezza dell’anima e le sue mani ruvide ne segnavano la forza; il suo passo era spedito come spedito era l’orgoglio per quella resistenza vissuta e per un’Italia liberata. Mia nonna custodiva in sé i ricordi della resistenza perché aveva prestato non solo le sue braccia ma anche i suoi figli; sì, alla resistenza, aveva affidato delle vite per ritrovare altre vite.
“Eh sì…la resistenza…” – diceva sempre – “è stata un volo di farfalla”.
Non era facile comprendere ciò che volesse dire ma non ebbi mai il coraggio di chiederne il significato perché mi piaceva l’immagine proiettata da quelle parole: le farfalle volano silenti, colorando la libertà e disegnando il cielo. Le farfalle volano sempre – senza fermarsi mai – perché il loro palpito di vita è nel dolce battere le ali.”
* * *
“Bisogna trovare la forza di abbracciare se stessi, orgogliosi di essere e di continuare, perché bisogna sempre sperare in sé; è proprio quando “pensi, penso o pensa” di mollare tutto che stiamo, volutamente, dimenticando la nostra identità…ci stiamo abbandonando. La debolezza è la sensibilità che culliamo in noi ed è quella sensibilità che deve divenire la nostra forza, la nostra singolarità, la nostra rabbia, perché è proprio attraverso quella debolezza che “io sono io”, “tu sei tu”, “egli è egli”.
È essenziale – in questa frenesia – trovare la giusta dose di entusiasmo: bisogna godere della vita, guardando, anche, il bicchiere mezzo pieno.
La vita bisogna “acchiapparla”, “tenerla stretta”, “divorarla”, perché è in quel bicchiere mezzo pieno l’eternità.”
* * *
“Un giorno mi sono detto: hai percepito le difficoltà di una quotidianità sempre più caotica e meno ordinata…hai definito le domande, gli interrogativi, quali spunti di riflessione che rendono almeno un senso quando, anche, le risposte non potrebbero averne…ti sei dichiarato ansiosamente tranquillo, rivelando, implicitamente, che – ormai – si può essere tranquillamente ansiosi…hai ricordato le parole quale vecchie amiche, amiche intime, perché – in questa realtà – l’intimità, forse, ha vita nelle poche parole autentiche, vere, sincere.
Hai scritto panta rei e carpe diem.
Certo, tutto scorre perché la vita corre e non si ferma… si cresce, si muta, si diventa altri e si scopre la verità…e si conosce la falsità.
Lo so…crescendo il mondo ci confonde e, purtroppo, spesso perdiamo il coraggio di credere nel nostro sogno.
Ma è proprio in quel momento che bisogna cogliere l’attimo.
Quel sogno siamo noi.”