Non crolla solo un ponte.
Crolla il senso della civiltà: la responsabilità individuale e di comunità.
E crollano vite. Che non sono pezzi di calcestruzzo.
L’effetto mediatico comporta dichiarazioni di contingenza. I giorni dei funerali diventano narrazione.
E, poi, tutto passa.
E si ripetono crolli di ponti, di cavalcavia e, forse, di gallerie.
Come se fosse normale che accadesse.
È proprio nel ripetersi la de-responsabilizzazione. E scaturisce un insegnamento: l’Italia è una “zona franca” ove gli illeciti sono possibili (e plausibili!).
L’Italia…beh!
È facile leggere di “intrecci distorti” dei poteri dello Stato (e di poteri dello Stato che “non fanno il proprio dovere…“). A esser garantisti non è giusto crederci.
Vero.
Eppure, ricorrono – sistematicamente – riscontri inconfutabili: perché quando accadono – ripetutamente – eventi così tragici significa che ciascuno dei poteri ha mancato in “qualcosa”.
Ed è proprio in quel “mancare” che si annida la FORZA della DE – RESPONSABILIZZAZIONE.
Se l’Italia ha conosciuto il boom economico, ha prodotto il made in Italy mondiale, si è assestata come museo a cielo aperto, è perché – un tempo – si mancava di meno e si partecipava di più alla “fortificazione” di una nazione-comunità: ognuno secondo le proprie competenze, capacità, attitudini in un coordinamento, sì, di poteri che voleva significare bene comune.
Si cercava di costruire quei “ponti” tra istituzioni e cittadini che divenivano, comunque, vicinanza al fine di realizzare un benessere comune, nonostante tutto.
Perché i problemi non sono mai mancati e gli uomini non sono mai stati, esclusivamente, virtuosi ma – quantomeno – ricorreva una percezione – forse, maggiore – della responsabilità istituzionale e della vergogna pubblica.
Erano “ponti” che, intanto, resistevano e permettevano a ogni cittadino italiano di avere una dignità e di percorrere, fiero, l’Italia in cinquecento.
Oggi, i “ponti” crollano e uccidono persone. Tante. Troppe.
E non è un incubo.
E non è un sogno.
È l’Italia.
E siamo noi gli italiani.