Ancora un lockdown.
Seppur parziale e/o temporaneo e/o contingente.
Ancora il (corona) virus persiste e la pandemia detta numeri preoccupanti di vita e/o di morte.
Un virus che stravolge e riavvolge principi fondanti la nostra Repubblica, suggellati dalla nostra Costituzione.
Un virus che (comunque lo si guardi) lede e diventa letale, senza se e senza ma.
Un virus che fa “quasi” scacco matto senza pietà alcuna.
E, allora, si chiude, si riapre, ci si barrica, si esce nuovamente, si isola, ci si distanzia e ci si riavvicina pure.
Un’alternanza di contegni e/o provvedimenti che diventano riscontro di un virus talmente mutante quanto imprevedibile, tanto da mettere in contrapposizione i componenti la comunità scientifica e da scompaginare le istituzioni.
E questa imprevedibilità impedisce la univocità di opere e/o azioni.
Intanto, si affievolisce sempre più il diritto al lavoro (l’effettività del diritto al lavoro) che è dignità, si affievolisce sempre più quella iniziativa economica (pubblica o privata) che è utilità sociale, si affievolisce sempre più quel valore azienda (e ancora esistono aziende di vero valore) che è elevazione economico-sociale, si affievolisce sempre più quel diritto alla cultura che è arte, scienza, scuola, socialità, umanesimo.
E ci si smarrisce ancor più. Ma davvero.
Si combatte – opportunamente e necessariamente – per l’immunità, per la salvaguardia della salute, per la tutela della vita, per mettere al sicuro una nazione e ci si imbatte in un affievolimento dei diritti inviolabili che, unitamente alla salute, garantiscono quella dignità di pieno sviluppo della persona umana.
Paradossalmente.
Ma, forse, in buona salute.
E le lacrime solcano i volti e le mani diventano pugni stretti e il sorriso diventa denti serrati e manca il respiro.
Fame d’aria. Smarrimento. Esistenze incerte.
Di vita e/o di morte.