Dedicato ai diversamente abili.
E io mi fermo alla parola VITA.
Mi soffermo. Guardo. Scruto.
Poi, mi guardo al primo vetro che riflette, possa essere anche quello di un’automobile o di un distributore di caffè. E mi guardo. Scruto me stesso.
E mi fermo.
Cerco, smaniosamente, il vetro per guardarmi; mi sento con le mani come se non volessi credere al mio corpo. Sento l’esigenza di sentirmi integro.
E mi emoziono. Da solo. Solo.
Sono integro, ci sono e il mio corpo “funziona”, donandomi l’autosufficienza, indipendenza, autonomia.
Sono libero di poter gridare, articolare ogni parola che rincorre il mio cervello, di poter inseguire, anche, delle farfalle e di correre per lasciarmi rincorrere, di ridere e di sorridere mentre con le mani tocco/afferro ciò che più mi piace, ciò che più mi incuriosisce; sono libero di poter lanciare il mio sguardo, i miei occhi, oltre ogni orizzonte perché, comunque, potrebbe essere raggiungibile con le mie gambe che mi fanno sentire un aquilone. Sono libero di spingere il tempo con l’impeto della mia libertà fisica. Libero di afferrare la musica con le mie orecchie e di lasciare che il mio naso ne senta il profumo. Sono libero di tuffarmi nel letto quando più lo desidero e sono libero di alzarmi quando lo voglio.
Sono libero di ragionare.
Lascia! Sono io a prepararmi il caffè al mattino e la cena alla sera.
Non preoccuparti! Domani farò le pulizie.
Voglio che il sole entri in casa.
E apro una finestra.
Antonio Maria.
Un bambino, apparentemente, normale.
Bello pure.
Simpatico, anche, nei video e nelle foto.
Un bambino che scorrazza nell’anima alla sola vista.
Uno sguardo denso e intenso.
Un fragore di vita in una sola emissione sonora.
Sì, a sette anni comunica emettendo un suono con una tale irruenza che il suono stesso diventa parola: ci sono.
E voi?
Allora, cerco, smaniosamente, un altro specchio perché sento l’esigenza di guardarmi ancora, osservarmi, ossessionato dalla mia integrità psico-fisica.
Ci sono, tutto bene, sono integro.
E tiro un sospiro di sollievo. E sorrido.
E apro la finestra.
Ed è sole.
Antonio Maria.
Una bellezza fanciulla che sconvolge perché i fanciulli hanno quella pienezza di vita tale da rendere belli anche i momenti meno belli. Semplicemente, con i loro occhi ingenui. Semplicemente, con una mano tesa a donare una carezza. Semplicemente, con un sorriso che si ripete a ogni abbraccio, corrisposto ancora più forte, quasi a saldarsi.
I bambini.
Antonio Maria è un bambino, tra gli altri, che la “sorte” ha voluto diversamente abile.
Abile, sì. Diversamente.
È uno scricciolo d’uomo che col suo viso fanciullo rasserena attraverso la sua sofferenza psico-fisica.
Non può stare in piedi senza ausilio. Vede a tratti. Così come a tratti ha i “suoi” momenti di “coscienza”. Si alimenta attraverso canali secondari. Eppure, quella bocca è viva di sorrisi che non si spengono (ma non perché lo si vuol per forza vedere il sorriso!), di vibrazioni sonore che non mancano mai. Eppure, quegli occhi sono chiari come il cielo sereno: rassicurano in uno sguardo che si perde pure per poi, forse, tornare.
Una manina con due dita che non si ferma un secondo, che afferra pure l’aria perché nell’aria c’è tutta un’esistenza.
Per me l’aria è scontata.
Spesso, mentre sono alla guida, chiudo anche i finestrini per non sentir l’aria.
Per non parlare del vento: che fastidio!
Sistemo lo specchietto retrovisore e mi guardo.
Ci sono. Integro.
Smania di sentirmi integro.
Antonio Maria.
A ogni suono è come volesse lasciar vibrare il corpo per scriverne la nota.
E non chiude mai gli occhi.
Anzi, li spalanca.
E ti cerca. E cerca.
Lì, in quel perimetro privo di pericoli e pregno di comprensione amorevole: in casa.
E fuori?
Fuori è tutto difficile.
Fuori è ancora barriere. Pregiudizi. Burocrazia evanescente.
Fuori è non poter andare a scuola per carenza di mezzi pubblici e personale idoneo.
Fuori è non poter passeggiare nel passeggino perché parcheggiare una macchina è più importante che lasciar spazi di transito a un diversamente abile.
Fuori è, sovente, non riuscire a cambiare marciapiede perché mancano gli “scivoli” per la carrozzina.
Fuori, è pioggia e sole. È freddo e caldo. È bianco e nero.
Mentre una mamma spinge la carrozzina. Con forza.
Perché, FUORI, c’è un “peso” da trasportare.
Intanto, trovo un’altra vetrina e mi specchio.
Io ci sono. Sono integro.